Il patto di famiglia si conferma lo strumento cardine per il passaggio generazionale, ma uno dei suoi vantaggi risiede nella possibilità di recesso, un “asso nella manica” distintivo rispetto a trust e donazioni.
A differenza di questi ultimi, dove la revoca è residuale, il patto offre al disponente una “via d’uscita” retroattiva qualora, ad esempio, si trovasse in stato di bisogno e i beneficiari non provvedessero al suo sostentamento.
Sotto il profilo normativo, l’art. 768-septies c.c. permette lo scioglimento del vincolo tramite nuovo contratto o recesso unilaterale, purché quest’ultimo sia espressamente previsto nell’atto originario e certificato da notaio. Questa clausola va inserita strategicamente per rassicurare l’imprenditore che teme la perdita definitiva del controllo.
Dal punto di vista fiscale, l’operazione di “ritorno” dei beni è estremamente efficiente: in base all’art. 28, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, la risoluzione derivante da clausola espressa sconta l’imposta di registro in misura fissa. L’imposta proporzionale si applica unicamente sull’eventuale corrispettivo pattuito per la risoluzione, rendendo il recesso uno scudo patrimoniale flessibile e a basso impatto fiscale.